Salute e diagnosi psicologica
[AMERICAN PSYCHIATRIC ASSOCIATION (2001), “DSM IV-TR”]
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (1948), la salute è quello “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia o di infermità”.
La salute è caratterizzata dall’adattamento continuo della persona al suo ambiente. In quest’ottica, essa si configura come una condizione di equilibrio dinamico, fondata sulla capacità del soggetto di interagire in maniera efficace con un contesto in continuo cambiamento.
Per chiarire ulteriormente il concetto di salute è necessario prendere in considerazione anche l’assunto della medicina psicosomatica, secondo cui è assente una netta distinzione tra ciò che è fisico e ciò che è mentale: l’individuo va considerato come un’unità, in cui corpo e mente sono inscindibilmente legati tra loro. Tutti i sintomi, quindi, in misura diversa a seconda della specificità individuale e del tipo di disturbo, sono costituiti sia da componenti fisiche che mentali.
La formulazione di una diagnosi costituisce un processo cruciale sia in ambito medico che psicologico.
Secondo il metodo classico della medicina, il clinico deve individuare una malattia per poi attuare una specifica terapia e per ogni singola diagnosi esiste un trattamento corrispondente.
Al contrario, la diagnosi psicologica non si basa solo “etichetta” diagnostica ricavata da manuali, ma prende in considerazione ulteriori elementi, quali i processi mentali complessi e caso-specifici (tratti di personalità, risorse, itinerari di sviluppo, ecc.), al fine di ottenere una valutazione funzionale alla pianificazione ed attuazione di un trattamento integrato.
In altre parole, nell’ambito della salute mentale la persona non è riducibile al disturbo che la affligge; di conseguenza anche il trattamento della problematica deve tenere in considerazione svariati aspetti individuali (biologici, psicologici, sociali e ambientali) e, proprio in virtù di questo, può variare notevolmente da persona a persona.
Chi è lo psicologo?
Lo psicologo clinico è un professionista che dopo una laurea quinquennale ha sostenuto l’esame di stato per l’abilitazione alla professione ed è iscritto all’Ordine degli Psicologi.
Egli svolge attività di:
- Consulenza e Sostegno Psicologico;
- Interventi di Promozione della Salute Psico-fisica e del Benessere Psicologico;
- Interventi di Psicoeducazione;
- Valutazioni Psicodiagnostiche.
Lo psicologo clinico è l’esperto dei disturbi, dei metodi di indagine e delle tecniche di intervento per la risoluzione dei problemi psicologici, ma ogni individuo è diverso e per questo è lui stesso ad essere l’unico esperto di sé e della propria storia di vita. Di conseguenza il paziente non è solo parte attiva del processo terapeutico, ma è esso stesso l’artefice del cambiamento.
Lo psicologo somministra farmaci?
Lo psicologo, a differenza dello psichiatra, non somministra farmaci, ma utilizza altri strumenti terapeutici all’interno del colloquio clinico.
Nei casi particolari in cui la persona necessita di un intervento di tipo farmacologico, lo psicologo può avvalersi della collaborazione di un collega psichiatra, al fine di tenere sotto controllo i sintomi più importanti.
In alcuni casi la somministrazione di farmaci è una condizione fondamentale per il benessere della persona e per poter affrontare al meglio l’intervento psicologico, ma la sua funzione va vista come quella di un “ombrello per la pioggia”: l’ombrello può essere un riparo efficace durante il temporale, ma fuori continua a piovere.
Per questo motivo, ad oggi la letteratura scientifica è giunta alla conclusione che la psicoterapia è l’intervento di elezione per il miglioramento della sintomatologia nella maggior parte delle problematiche psicologiche e dei disturbi mentali.
La sola farmacoterapia, anche se è fondamentale e imprescindibile per il controllo dei sintomi in determinate condizioni psicopatologiche (es. Schizofrenia, Disturbo Bipolare, Depressione Maggiore..ecc.), non ottiene i medesimi risultati positivi nel lungo termine ed il suo effetto è legato al perdurare della sua assunzione.
Cosa si fa nel colloquio clinico?
La scarpa che va bene a una persona sta stretta a un’altra. Non c’è una scelta di vita che vada bene a tutti.
[C.G. Jung]
In quest’ottica il colloquio clinico si configura come un dialogo interattivo che tiene conto della soggettività e diversità delle persone.
Dopo una fase di raccolta guidata delle informazioni si andranno a mettere in luce gli aspetti problematici e i sintomi psicologici al fine di una valutazione globale della situazione. Questa valutazione permette di co-costruire di comune accordo gli obiettivi da raggiungere.
Qual è l’obiettivo del lavoro dello psicologo clinico?
[P. Valery]
Numerosi sono gli orientamenti e le scuole di pensiero in ambito psicologico.
Il lavoro clinico serve ad aiutare la persona ad effettuare un cambiamento di prospettiva.
Come?
- integrando nei processi mentali informazioni che prima ne erano escluse;
- sviluppando consapevolezza circa: le proprie modalità di pensiero, di accesso ai ricordi, di rappresentazioni del sé, del mondo e degli altri.
Qual è lo scopo di tale cambiamento di prospettiva?
- diventare più flessibili e quindi di disporre di molteplici rappresentazioni di noi, degli altri e del mondo, mantenendo al contempo un senso di identità stabile;
- allargare il repertorio personale di strategie per la soluzione dei nostri problemi.
In questo modo sarà possibile adattarsi in maniere nuove e più funzionali alle situazioni che ci troviamo a fronteggiare.
In sostanza, tale cambiamento ci aiuta a stare bene.
Cosa sono i sintomi e perchè si manifestano?
Noi affermiamo che ogni comportamento, nessuno escluso, ha una funzione positiva. E’ la scelta migliore di cui la persona disponga in un dato contesto.
[R. Bandler – J. Grinder]
Durante lo sviluppo la persona costruisce un senso di sé (identità), che serve come punto di partenza per assimilare tutte le esperienze ed informazioni con cui verrà in contatto nel corso della sua vita. Tale senso di sé è in continua evoluzione e si confronta quotidianamente con due tendenze che devono essere mantenute in equilibrio tra loro:
- la necessità di coerenza e stabilità,
- la necessità di flessibilità e adattamento al contesto.
In quali situazioni si rompe questo equilibrio e si creano i sintomi?
A fronte di eventi nuovi e perturbanti per la persona, un’identità poco flessibile può faticare ad adattarsi e di conseguenza si creano i presupposti per la formazione di un disturbo.
I sintomi psicologici vanno visti, quindi, come tentativi dell’individuo di adattarsi a un determinato contesto. Pertanto dobbiamo considerarli come la miglior risposta difensiva (tra quelle di cui quella persona dispone) per fronteggiare una situazione vissuta come perturbante/destabilizzante.
In questi termini ci sarà più facile vedere i sintomi psicologici, come ad esempio un attacco di panico, come vediamo la febbre, ovvero un segnale e un meccanismo difensivo che ci allerta che c’è qualcosa che non va da cui dobbiamo difenderci.
Quali sono le situazione perturbanti/destabilizzanti?
Le situazione perturbanti e destabilizzanti cambiano da persona a persona e non sono per forza solo eventi unanimamente considerati pericolosi o gravi (es. lutto, trauma), ma possono essere anche comuni eventi di vita che la persona fatica a integrare nel suo percorso personale (es. una frase, una piccola discussione, un episodio apparentemente insignificante).
Spesso tali eventi appaiono a prima vista così “banali” che la persona da sola fatica persino ad individuarli o ricordarli.
Riassumendo:
Il sintomo si può manifestare quando, a causa di eventi o situazioni che ci forzano al di là delle nostre possibilità, la nostra identità fatica ad adattarsi al cambiamento, cioè ad integrare le nuove informazioni mantenendo allo stesso tempo un senso di coerenza e di continuità.
Questo sintomo, anche se vissuto come negativo e problematico, rappresenta la risposta migliore che possiamo mettere in atto considerata la situazione.
Grazie al lavoro clinico la persona impara ad includere nel suo repertorio nuovi tipi di risposte, più efficaci per far fronte agli eventi destabilizzanti.
I sintomi e il lavoro dello psicologo spiegati con una metafora
Questa è una storia a cui ho pensato nei primi anni di frequentazione della Scuola di Psicoterapia.
Volevo trovare un modo per spiegare i sintomi psicologici e il lavoro clinico anche a chi era privo di qualsiasi nozione di psicologia, senza però svilirne i concetti e la complessità.
Allora ho pensato alle favole di Esopo ed a come avrei potuto spiegare ad un bambino i disturbi mentali e il lavoro clinico.
Di qui è nata “LA STORIA DEL VIANDANTE E DELLA BELVA FEROCE”
Stiamo passeggiando in un bosco ed incontriamo una belva feroce che ci sbarra la strada [l’evento perturbante/destabilizzate] e non ci permette di proseguire per il nostro cammino. Per poter andare avanti lungo il sentiero [il nostro percorso di vita] dobbiamo per forza fronteggiare l’animale e quindi cerchiamo nelle tasche qualcosa per difenderci, ma troviamo solo dei semplici sassi [le risorse a nostra disposizione]. Anche se scegliamo di usare il sasso più affilato che abbiamo, quando lo impugniamo ci rendiamo conto che ci taglia e ferisce le mani [ecco il presentarsi del sintomo], ma non possiamo farne a meno perché dobbiamo pur difenderci!
Se nelle tasche avessimo avuto altre cose, magari avremmo trovato un’arma più efficace e di conseguenza anche la belva sarebbe stata un ostacolo meno impegnativo; così avremmo proseguito senza grossi intoppi.
Viceversa, un altro viandante incappato nella medesima situazione, potrebbe vedere in quella che per noi è un belva feroce, un lupo inoffensivo che gironzola facendosi i fatti suoi. Di conseguenza per quel viandante il lupo non sarebbe un ostacolo problematico da superare.
I sintomi sono il nostro sasso affilato, che ci ferisce e fa star male, ma non possiamo farne a meno perché non abbiamo altre armi a disposizione!
Il lavoro clinico con lo psicologo ci aiuta a trovare “più armi nelle tasche” e ad interpretare le situazioni in maniera differente, trasformandoci nel “secondo viandante” della storia.
Detraibilità fiscale delle prestazioni psicologiche
Le prestazioni cliniche erogate dagli psicologi sono da considerarsi spese sanitarie equiparabili alle prestazioni di tipo medico e quindi detraibili nella dichiarazione dei redditi. Infatti, per chi usufruisce di tali prestazioni spetta una detrazione del 19% per il sostenimento di “spese sanitarie”.
Non tutti sono a conoscenza di questa possibilità, che può invece andare a incidere notevolmente sulla percezione delle proprie possibilità economiche nell’ intraprendere un percorso psicologico.
Citando l’Agenzia delle Entrate (circolare n.20/e del 2011):
“Il Ministero della Salute ritiene equiparabili le prestazioni professionali dello psicologo e dello psicoterapeuta alle prestazioni sanitarie rese da un medico, potendo i cittadini avvalersi di tali prestazioni anche senza prescrizione medica. È pertanto possibile ammettere alla detrazione di cui all’art. 15, comma ,1 lett. c), del TUIR le prestazioni sanitarie rese da psicologi e psicoterapeuti per finalità terapeutiche senza prescrizione medica.”
Elenco delle principali prestazioni psicologiche detraibili (ed esenti IVA):
- Sedute di anamnesi e psicodiagnostica
- Colloqui psicologici, consulenza e/o sostegno
- Somministrazione di test in genere
- Sedute di psicoterapia individuale, di coppia, di famiglia, di gruppo
- Certificazione e relazione breve psicodiagnostica
- Certificazione e relazione breve di trattamento
- Analisi, definizione e stesura di relazione psicologico-clinica
- Perizie psicologiche
- Attività di prevenzione
L’Iva dipende solitamente dalla natura della prestazione e non dal soggetto cui viene emessa la fattura/ricevuta.
Per fatture di importo superiore a 77,47 € si applica la marca da bollo di 2 €, a carico del paziente/cliente e anch’essa è detraibile.
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